Viaggio in Montenegro

Confesso che prima di pianificare il mio viaggio in Montenegro avevo quella vaga idea che fosse “il posto piccolo vicino alla Croazia dove non va mai nessuno”. Mai previsione fu più sbagliata. Questo minuscolo gioiello balcanico racchiude una bellezza selvaggia che ti coglie impreparato: monasteri ortodossi che sembrano crescere dalla roccia viva, laghi glaciali incastonati tra vette alpine e un mare talmente cristallino da far impallidire i Caraibi.

In soli 10 giorni potrai esplorare le Bocche di Cattaro con i borghi veneziani di Kotor e Perast, rilassarti sulle spiagge del Montenegro come Buljarica Beach e Kraljicina Beach, e perderti nella magia spirituale del Monastero di Ostrog. Il tuo itinerario ti porterà dalla mondana Sveti Stefan alla porta d’ingresso di Herceg Novi, dai parchi nazionali del Montenegro come Durmitor e Lovćen fino alle altezze vertiginose di Žabljak. Scoprirai tesori UNESCO come le antiche tombe di Stecci, la moderna Podgorica, le acque del Lago di Scutari e l’adrenalina del Ponte Đurđevića Tara.

In questo articolo ti guiderò attraverso itinerari ottimizzati, informazioni pratiche aggiornate e quei consigli locali che trasformano un semplice viaggio in un’avventura indimenticabile.

Herceg Novi, la porta di ingresso del Montenegro

Sai quella sensazione quando arrivi in un posto e capisci immediatamente che sarà una storia d’amore? Ecco, Herceg Novi mi ha fatto proprio questo effetto. Chiamata Castelnuovo dai veneziani (che evidentemente non brillavano per creatività nei nomi), questa cittadina ha il dono raro di accoglierti senza strafare. Niente fanfare turistiche o cartelloni pubblicitari invasivi. Solo una manciata di fortezze che sembrano cresciute naturalmente dalla roccia e un lungomare che invita a rallentare il passo.

Il fatto buffo è che molti la attraversano di fretta, diretti verso mete più celebri. Errore madornale. Herceg Novi è come quel libro che tieni sul comodino per mesi prima di aprirlo, per poi scoprire che è un piccolo capolavoro. Due ore qui possono trasformarsi in una giornata intera senza che te ne accorga, perché questa cittadina ha una qualità magnetica che ti trattiene dolcemente.

Cosa vedere nel centro storico di Herceg Novi

Il Forte del Mare è il protagonista indiscusso della scena, e devo ammettere che fa la sua figura. Costruito nel XIV secolo per volere del re bosniaco Tvrtko I (nome che pronuncio ancora malissimo dopo tre tentativi), questa fortezza non è semplicemente bello da vedere: ti racconta una storia di quando l’Adriatico era un mare tempestoso di guerre commerciali e incursioni piratesche.

La cosa che mi ha colpito di più? La statua di Tvrtko I vicino al porto turistico. Lì ho realizzato quanto fosse strategica questa posizione: controlli tutto il traffico marittimo delle Bocche di Cattaro stando comodamente seduto a sorseggiare vino locale. Questi re medievali sapevano proprio come scegliere le loro residenze.

Nel dedalo di vicoli della città vecchia, la Torre dell’Orologio svetta come un promemoria del passato veneziano. Perché quando la Serenissima Repubblica di Venezia metteva le mani su un posto, dovevi saperlo dall’orologio. Era il loro modo di dire “adesso facciamo noi”. La Chiesa di San Michele Arcangelo, nascosta tra le mura medievali, custodisce affreschi che ti fanno dimenticare che fuori c’è il XXI secolo.

Ma la vera scoperta sono state le fortificazioni “minori”: la Kanli Kula (il cui nome suona come una ricetta turca), la Citadela e la Spanjola. Quest’ultima, in particolare, offre una vista che vale la salita sudata. Da lassù capisci perché i mercanti veneziani e le flotte dell’impero turco si contendessero questo angolo di mondo.

Monastero di Ostrog: pellegrinaggio nella roccia

Devo confessarti una cosa: quando ho visto per la prima volta le foto del Monastero di Ostrog, ho pensato fosse un fotomontaggio. Non è possibile, mi sono detto, che qualcuno abbia davvero costruito un monastero direttamente nella parete rocciosa verticale. Eppure eccoti lì, dopo una strada serpeggiante che ti fa venire le vertigini solo a guardarla, davanti a quello che i pellegrini ortodossi considerano il luogo più sacro dei Balcani.

Il Monastero Ostrog non è semplicemente un edificio religioso: è un atto di fede trasformato in architettura impossibile. Quando San Basilio scelse questo posto nel XVII secolo, probabilmente stava cercando il punto più scomodo e inaccessibile del Montenegro. Missione compiuta, direi. Ma c’è qualcosa di profondamente poetico in questa scelta: un monastero che sembra crescere dalla roccia stessa, come se la montagna avesse deciso di ospitare il divino.

L’esperienza spirituale del monastero

La prima cosa che noti arrivando al Monastero di Ostrog è il silenzio. Non il silenzio normale che trovi in montagna, ma qualcosa di più denso, quasi tangibile. Poi vedi i pellegrini: ortodossi che sono arrivati qui da tutta la Serbia, Bosnia, Bulgaria. Alcuni hanno camminato per giorni. Altri sono arrivati in pullman dopo aver raccolto soldi per mesi. E tu, turista occidentale con le scarpe da trekking nuove e la guida Lonely Planet sotto braccio, ti senti improvvisamente molto piccolo.

Le reliquie di San Basilio sono conservate nella chiesa superiore, quella letteralmente scavata nella roccia. I fedeli fanno la fila per baciare l’icona del santo, e non è raro vedere miracoli di guarigione attribuiti a questo pellegrinaggio. Ora, io sono tipo da “dimostramelo scientificamente”, ma qui anche il più scettico tra le persone razionali si trova a sussurrare.

La cosa che mi ha colpito di più? I pellegrini condividono tutto. Cibo, acqua, coperte. Una signora di Nikšić mi ha offerto un panino appena saputo che venivo dall’Italia. “Per San Basilio”, ha detto, e quando qualcuno ti offre qualcosa “per San Basilio”, tu accetti e ringrazi.

Le grotte naturali che ospitano le cappelle creano un’acustica particolare. I canti ortodossi risuonano amplificati dalla roccia, e ti ritrovi in una sorta di surround sound spirituale che ti arriva dritto al midollo. Anche se non sei credente, c’è qualcosa di primordiale in quei suoni che ti tocca.

Stecci, un patrimonio medievale UNESCO

Ora, se dovessi fare una classifica delle scoperte più inaspettate del mio viaggio in Montenegro, gli Stecci si aggiudicherebbero il podio senza neanche sudare. Ero lì, che guidavo tranquillo verso Žabljak pensando ai laghi glaciali che mi aspettavano, quando un cartello marrone dell’UNESCO mi ha fatto frenare così bruscamente che il caffè si è rovesciato sul cruscotto. “Stecci – Patrimonio dell’Umanità”. Beh, pensai, se l’UNESCO si è scomodata fino a questo angolo sperduto del Montenegro, una ragione ci sarà.

Mai decisione fu più azzeccata. Gli Stecci sono una di quelle cose che non sai di aver sempre cercato finché non le trovi. Immagina un cimitero medievale, ma non il tipo tetro e inquietante che ti aspetti. Piuttosto, un luogo dove l’arte funeraria medievale diventa poesia scolpita nella pietra, dove ogni tomba medievale racconta una storia di un’epoca in cui la morte non era un tabù ma un passaggio da celebrare con dignità e bellezza.

L’arte funeraria medievale dei Balcani

La prima cosa che capisci guardando gli Stecci è che nel Regno di Bosnia del XIV secolo avevano un rapporto con la morte completamente diverso dal nostro. Niente croci lugubri o epitaffi lacrimevoli. Qui ogni Stećak (il termine corretto per una singola pietra tombale) è un piccolo capolavoro artistico che celebra la vita del defunto con una sincerità disarmante.

Le necropoli degli Stecci si estendono dai pascoli montenegrini fino alla Bosnia orientale, passando per località come Radimlja e Blidinje. Ma quello che rende unici questi siti è l’arte: cavalieri in battaglia, scene di caccia, danze tradizionali, persino raffigurazioni di vita quotidiana. È come sfogliare un album fotografico medievale scolpito nella pietra.

La cosa che mi ha colpito di più? Un cavaliere che brandisce una spada con una mano e tiene una coppa di vino con l’altra. Ecco, pensai, questo tizio sapeva vivere. O meglio, sapeva come voleva essere ricordato. I Bogomili, la setta cristiana eretica che probabilmente commissionò molte di queste opere, avevano evidentemente un senso estetico raffinato e una filosofia di vita che metteva al centro la gioia terrena.

Ogni sito del patrimonio culturale ha la sua personalità, ma gli Stecci hanno qualcosa di profondamente umano. Guardando questi capolavori artistici medievali, non pensi “che antico”, ma “che contemporaneo”. Perché l’istinto di lasciare un segno bello e significativo dopo la morte è probabilmente una delle cose più universalmente umane che esistano.

Come visitare il sito archeologico

Arrivare al sito archelogico Stecci è più semplice di quanto non sembri dalla posizione apparentemente remota. Il sito principale si trova a circa 30 chilometri da Žabljak, seguendo la strada che costeggia il lago Piva. Il bello è che non c’è un biglietto d’ingresso, non ci sono tornelli, non c’è neanche un parcheggio ufficiale. Semplicemente, vedi le pietre e ti fermi.

Questo luogo e sempre aperto, ventiquattro ore su ventiquattro, trecentosessantacinque giorni l’anno. È uno di quei rari posti dove il sito archeologico è completamente accessibile e libero. Porta con te una giacca a vento perché il plateau è esposto e, anche in estate, può esserci un venticello che ti penetra nelle ossa.

Žabljak, la porta del Durmitor

C’è qualcosa di magnificamente assurdo nell’idea di Žabljak. Qui ti trovi nella cittadina più alta del Montenegro, a 1.456 metri sopra il livello del mare, e la prima cosa che pensi è: “Ma chi è stato il pazzo che ha deciso di costruire una città quassù?” La risposta, come spesso accade nei Balcani, è complicata e coinvolge pastori, guerre ottomane e un’ostinata determinazione montanara che sfida qualsiasi logica geografica.

Žabljak è quello che gli americani chiamerebbero un “gateway town” – una di quelle cittadine che esistono principalmente per dare accesso a qualcosa di più grande. In questo caso, quel qualcosa è il Durmitor National Park, e devo dire che come porta d’ingresso, Žabljak se la cava benissimo. È piccola abbastanza da non intimidirti, abbastanza attrezzata da non farti sentire abbandonato, e sufficientemente autentica da ricordarti che sei nei Balcani, non in un resort alpino svizzero.

La cosa buffa di Žabljak è che cambia personalità con le stagioni come un attore versatile. D’estate è la base per escursionisti e appassionati di laghi glaciali. D’inverno si trasforma in un ski resort che i montenegrini adorano e gli stranieri scoprono con sorpresa crescente. E nel mezzo, durante quelle settimane di transizione primaverile e autunnale, diventa un posto quasi meditativo dove il tempo sembra rallentare e tu finalmente riesci a sentire il silenzio della montagna.

Parco nazionale di Durmitor, il paradiso dei laghi glaciali

Ora, devo fare una confessione imbarazzante. Prima di visitare il Durmitor National Park, la mia idea di “lago glaciale” era sostanzialmente quella di uno specchio d’acqua freddo e blu che avevi visto in qualche documentario della BBC. Sai, roba da “oh che bello” e via. Mai previsione fu più inadeguata. Quando ti trovi davanti al Crno Jezero – il Lago Nero – per la prima volta, capisci immediatamente perché la natura si è presa la briga di inventare i laghi glaciali.

È uno di quei momenti in cui ti rendi conto che le fotografie, per quanto spettacolari, sono fondamentalmente delle bugie pietose. Perché non riescono a catturare l’aria che sa di abete e neve eterna, il silenzio così completo che senti il tuo cuore battere, o quella strana sensazione di vertigine spirituale che ti prende quando realizzi che stai guardando qualcosa che esiste più o meno inalterato da quando i ghiacciai si sono ritirati, circa diecimila anni fa.

Il Parco Nazionale di Durmitor è uno di quei posti che ti fa sentire contemporaneamente molto piccolo e stranamente privilegiato. Piccolo perché le vette del Bobotov Kuk ti sovrastano con una indifferenza geologica che mette le cose in prospettiva. Privilegiato perché, diciamocelo, quanti hanno la fortuna di fare trekking in un posto dove ogni sentiero ti porta verso un lago glaciale diverso, ognuno con la sua personalità e i suoi segreti?

I 18 laghi glaciali del parco

La prima cosa che impari sui 18 laghi glaciali del Durmitor è che contarli tutti richiede una dedizione che confina con l’ossessione. Alcuni sono facilmente accessibili, come il Crno Jezero che raggiungi con una passeggiata di venti minuti da Žabljak. Altri, come il Zminje Jezero – il Lago dei Serpenti – richiedono un’escursione di mezza giornata e la capacità di orientarsi senza perdersi in un wilderness che non perdona gli sprovveduti.

Il Crno Jezero è il più fotografato e il più visitato, e capisci perché: è grande abbastanza da avere un carattere maestoso, circondato da boschi di abete che si specchiano nell’acqua con una precisione quasi ridicola. Ma è anche quello che ti dà false aspettative sugli altri laghi. Perché ogni lago glaciale qui ha la sua peculiarità. Il Zminje Jezero, per esempio, ha una forma serpentina che giustifica il nome, e un colore che cambia dal verde smeraldo al blu profondo a seconda di come batte la luce.

Poi ci sono i laghi che nessuno menziona mai nelle guide, quelli che scopri solo se hai la pazienza di seguire sentieri poco battuti e la fortuna di incappare in un pastore locale che ti indica la direzione giusta. Ho trovato un laghetto senza nome sul Plato Veliki Vir che era talmente perfetto da sembrare finto: circolare, alimentato da una sorgente sotterranea, con l’acqua così trasparente che vedevi ogni sasso sul fondo.

La cosa che mi ha colpito di più dei laghi del Durmitor è che ognuno ha il suo ecosistema. Non sono solo pozze d’acqua belle da vedere: sono ambienti complessi dove vivono pesci che si sono adattati al freddo glaciale, anfibi che hanno imparato a sopravvivere all’altitudine, e una vegetazione acquatica che cambia colore con le stagioni. È come visitare diciotto piccoli mondi paralleli, tutti a portata di scarpa da trekking.

Ponte Đurđevića Tara, adrenalina pura sul Canyon più grande d’Europa

C’è qualcosa di profondamente ironico nel fatto che una delle esperienze più spaventose del mio viaggio in Montenegro sia iniziata con me che guidavo tranquillamente lungo una strada di montagna, canticchiando una canzone degli U2 e pensando a quanto fosse rilassante la vita nei Balcani. Poi ho visto il Đurđevića Tara Bridge.

Ora, devo dire che ho una relazione complicata con le altezze. Non sono esattamente acrofobico, ma quando vedo un ponte che sembra sospeso nel vuoto a 172 metri d’altezza, la mia prima reazione istintiva è quella di fermare l’auto e chiedermi se davvero ho bisogno di attraversarlo. Il ponte Đurđevića ha questo effetto: ti fa riflettere sulle tue priorità esistenziali mentre ammiri quello che gli ingegneri jugoslavi negli anni Quaranta consideravano un normale lavoro di routine.

Il Tara Canyon, che questo magnifico ponte attraversa con una eleganza che sfida le leggi della fisica, è il secondo canyon più profondo del mondo dopo il Grand Canyon. Il che, quando lo realizzi mentre sei fermo a metà ponte a guardare giù, ti fa apprezzare in modo nuovo il concetto di “prospettiva”. Il fiume Tara scorre laggiù in basso come un nastro verde smeraldo, e tu cominci a capire perché questo posto sia diventato la mecca dell’adrenalina nei Balcani.

Attività estreme: zipline e rafting

La prima volta che ho sentito parlare della zipline del Đurđevića Bridge, ho pensato che fosse una di quelle leggende urbane che circolano tra backpackers. “C’è questo ponte in Montenegro”, mi aveva detto un tipo in un ostello di Belgrado, “dove ti attaccano a un cavo e ti fanno volare attraverso il canyon più profondo d’Europa”. Sembrava il tipo di storia che si racconta dopo troppe birre locali.

Invece no. La zipline Tara esiste davvero, ed è esattamente folle come sembra. Ti legano a un cavo d’acciaio, ti spingono giù dal ponte, e per i successivi… beh, non so quanto tempo perché quando voli a quella velocità il tempo diventa un concetto molto relativo… attraversi il Tara Canyon a circa ottanta chilometri orari, urlando come un matto e chiedendoti perché hai pensato che fosse una buona idea.

La cosa buffa è che, una volta atterrato (e atterri, nonostante durante il volo ti sembri impossibile), la prima cosa che pensi è: “Quando posso rifarlo?” È una di quelle esperienze che ti cambiano la prospettiva sulla vita, letteralmente. Vedere il mondo da 172 metri d’altezza mentre voli attraverso un canyon ti fa rendere conto che i tuoi problemi quotidiani sono ridicolmente piccoli.

Il rafting sul fiume Tara è l’altra grande attrazione qui, e devo dire che dopo la zipline, scendere il fiume in gommone sembra quasi rilassante. Quasi. Perché il fiume Tara può essere gentile e contemplativo in alcuni tratti, e completamente pazzo in altri. I rapids di classe III e IV richiedono una certa confidenza con il concetto di “controllo è un’illusione”, ma le guide locali sanno quello che fanno, e tu finisci per divertirti anche quando sei convinto di star per finire in Šćepan Polje molto prima del previsto.

La cosa che mi ha colpito di più del rafting Tara è il silenzio tra le rapide. Quando l’acqua si calma e il gommone scivola dolcemente tra le pareti del canyon, ti ritrovi in un mondo completamente separato dalla civiltà. È come essere dentro una cattedrale naturale dove l’unico suono è quello dell’acqua che scorre e degli uccelli che nidificano nelle pareti rocciose.

Podgorica, la capitale moderna del Montenegro

Devo essere onesto: Podgorica mi ha messo in una situazione imbarazzante. Ero arrivato aspettandomi una piccola capitale balcanica con un centro storico pittoresco, qualche chiesa ortodossa fotogenica, e quel tipo di fascino post-jugoslavo che trovi in posti come Ljubljana o Sarajevo. Invece mi sono trovato davanti a una città che sembra essere stata progettata da qualcuno che aveva visto un documentario su come dovrebbe essere una capitale moderna e aveva deciso di applicare tutte le lezioni insieme, anche quelle che si contraddicevano.

Podgorica è una di quelle città che ti fa riflettere sul concetto di identità nazionale. Qui ti trovi la capitale del Montenegro, un paese che esiste indipendentemente solo dal 2006, che cerca di definire se stessa in tempo reale. Il risultato è un mix affascinante e a volte sconcertante di ambizioni architettoniche moderne, eredità socialiste, e tentativi di creare istantaneamente una tradizione che non c’è mai stata.

La cosa che mi ha colpito di più è che Podgorica non cerca di essere pittoresca. Non fa la carina per i turisti, non nasconde le sue contraddizioni dietro una facciata restaurata. È una città che lavora, che cresce, che cambia, e se tu turista ti aspettavi un museo a cielo aperto, problema tuo. È un approccio rinfrescante, anche se inizialmente spiazzante.

Attrazioni principali da non perdere a Podgorica

La Torre dell’Orologio di Podgorica è probabilmente l’edificio più onesto della città. Risale alla metà del 1600, quando questa era ancora Ribnica, un piccolo centro ottomano, e il suo orologio – comprato in Italia, dettaglio che adoro – ha visto passare l’impero ottomano, il regno yugoslavo, Tito, le guerre, l’indipendenza, e ora la NATO. Se potesse parlare, questa torre avrebbe alcune storie interessanti da raccontare.

Ma è il Millennium Bridge che rivela l’anima moderna di Podgorica. Progettato in uno stile che ricorda (forse troppo da vicino) i ponti di Santiago Calatrava, attraversa il fiume Morača con una eleganza che sa di aspirazioni europee e budget limitato. È il tipo di architettura che dice “guardate, anche noi sappiamo fare le cose moderne”, e funziona, anche se ti fa venire il sospetto che da qualche parte ci sia un libro di “Come costruire ponti che sembrano importanti” con alcune pagine sottolineate.

Il quartiere Stara Varoš – la Città Vecchia – è quello che rimane del passato ottomano di Podgorica, e devo dire che è sopravvissuto piuttosto bene considerando che questa città è stata bombardata praticamente in ogni guerra del XX secolo. Le piccole moschee e le case tradizionali creano un contrasto interessante con i condomini socialisti e i grattacieli in vetro che sono spuntati negli ultimi quindici anni.

La cosa che non trovi nelle guide ma che scopri girovagando è l’ossessione di Podgorica per Dejan Savićević. Questo calciatore montenegrino, che ha giocato nel Milan negli anni Novanta, è praticamente venerato qui. Trovi sue foto in ogni bar, ogni ristorante, ogni negozio. È come se l’intera città avesse deciso che lui rappresenta il Montenegro nel mondo, il che è piuttosto dolce quando ci pensi.

Trasferimenti aeroporto e shopping

L’aeroporto di Podgorica si trova a una quindicina di chilometri dal centro, e il trasferimento aeroporto Podgorica è una di quelle cose che rivela il carattere pratico della città. Niente treni ad alta velocità o sistemi di trasporto futuristici: hai taxi, bus, e noleggio auto. I taxi costano circa 10-15 euro e impiegano venti minuti, a meno che non incappi nel traffico del venerdì sera, nel qual caso potresti avere il tempo di imparare il serbo-croato durante il viaggio.

Lo shopping a Podgorica è un’esperienza interessante perché ti confronta con l’economia di un paese che sta ancora decidendo cosa vuole essere da grande. Hai i centri commerciali moderni con le solite catene internazionali, ma anche mercati tradizionali dove puoi comprare formaggio di capra fatto in casa e rakija che ti garantiscono essere “la migliore del Montenegro” (spoiler: lo dicono tutti).

Il Delta City è il centro commerciale principale, ed è quello che ti aspetti: Zara, H&M, McDonald’s, e quella particolare atmosfera asettica dei mall di tutto il mondo. Ma è ai mercati della Stara Varoš che trovi le cose interessanti: miele locale, ceramiche fatte a mano, e quei piccoli oggetti artigianali che ti fanno riflettere sulla differenza tra souvenir turistici e artigianato autentico.

Una cosa che mi ha sorpreso è la quantità di negozi di telefonia mobile. Sembra che ogni secondo negozio di Podgorica venda telefoni, SIM card, o accessori per smartphone. È come se l’intera economia della città fosse basata sulla comunicazione, il che, per la capitale di un paese di 620.000 abitanti, ha una sua logica.

Lago di Scutari, il più grande dei Balcani

C’è qualcosa di magnificamente confuso nell’idea del Lago di Scutari. Per prima cosa, si chiama Scutari ma Scutari è in Albania, mentre due terzi del lago sono in Montenegro. È come se qualcuno avesse fatto un pasticcio con le mappe e poi avesse deciso che era troppa fatica sistemarle. Il risultato è che ti ritrovi in Montenegro a visitare il più grande lago dei Balcani che porta il nome di una città di un altro paese. Solo nei Balcani, pensai, queste cose hanno perfettamente senso.

La prima volta che ho sentito parlare del Skadar Lake ero in un bar di Virpazar – piccolo paese che sembra esistere principalmente per vendere escursioni in battello ai turisti – e un pescatore locale mi stava spiegando che questo non era solo il lago più grande della regione, ma anche il posto con la migliore biodiversità d’Europa. “Abbiamo 270 specie di uccelli”, mi disse con l’orgoglio di chi possiede personalmente ogni singolo volatile. “E pesci che non trovi da nessun’altra parte al mondo.”

Il fatto è che aveva ragione. Il Lago di Scutari è uno di quei posti che ti fa sentire come un naturalista vittoriano che ha appena scoperto una nuova specie. È un ecosistema talmente ricco e vario che ogni gita in battello diventa una lezione di biologia applicata, anche se tutto quello che volevi era fare due foto e bere una birra fredda al tramonto.

Tour in battello e birdwatching

I tour in battello Lago Scutari partono principalmente da Virpazar, che è diventato il quartier generale non ufficiale delle escursioni lacustri. Il paese stesso non è che gran cosa – una manciata di case, tre ristoranti, e quello che deve essere il più alto rapporto barche-per-abitante d’Europa – ma la sua posizione strategica all’imbocco del lago lo rende inevitabile come punto di partenza.

La cosa che mi ha colpito immediatamente è stata la qualità delle guide locali. Questi non sono tizi che hanno letto un manuale turistico: sono pescatori, naturalisti autodidatti, persone che vivono il lago da una vita e sanno dove trovare ogni singola specie di uccello a seconda dell’ora del giorno, della stagione, e probabilmente della fase lunare. Il mio skipper, un signore di settant’anni chiamato Marko, poteva identificare un pellicano dalmata a due chilometri di distanza e sapeva esattamente dove stavano nidificando i cormorani quella settimana.

Il birdwatching Skadar Lake è una di quelle attività che ti fa sentire contemporaneamente molto intelligente e completamente ignorante. Intelligente perché stai osservando la natura con attenzione scientifica. Ignorante perché realizzi di non aver mai notato prima che esistevano così tanti tipi diversi di aironi. Marko mi ha fatto vedere ibis sacri, aquile di mare, e qualcosa che chiamava “l’uccello che porta fortuna” ma di cui non riuscivo a pronunciare il nome scientifico.

La parte più magica dell’escursione è stata quando abbiamo spento il motore nel mezzo del lago e siamo rimasti in silenzio ad ascoltare. Il Lago Scutari ha una colonna sonora naturale incredibile: il richiamo dei pellicani, lo sbattere d’ali delle anatre selvatiche, il plop occasionale di un pesce che salta, e sotto tutto questo, un silenzio così profondo che ti fa realizzare quanto rumore facciamo normalmente senza accorgercene.

Lovćen National Park – il Mausoleo di Njegoš

Se dovessi spiegare il Lovćen National Park a qualcuno che non c’è mai stato, direi che è come salire in paradiso per incontrare l’eroe nazionale montenegrino, con la differenza che per arrivarci devi fare 461 gradini in salita a 1.761 metri d’altitudine. È un’esperienza che combina pellegrinaggio culturale, fitness estremo, e quella particolare forma di vertigine spirituale che ti prende quando realizzi di trovarti nel posto più sacro di un intero paese.

Petar II Petrović-Njegoš – poeta, filosofo, e vladika (principe-vescovo) del Montenegro – aveva richiesto espressamente di essere sepolto sulla vetta del Jezerski Vrh, la cima più alta del Lovćen. Era il tipo di richiesta che solo un poeta romantico poteva fare: “Seppellitemi nel posto più bello e inaccessibile che riuscite a trovare, così che chiunque voglia venire a trovarmi debba fare una fatica assurda”. E così fu fatto.

Il risultato è che visitare il mausoleo Njegoš è un’esperienza che mescola turismo, alpinismo leggero, e patriottismo montenegrino in una combinazione che ti lascia senza fiato. Letteralmente, perché l’altitudine e i gradini fanno il loro lavoro, ma anche figurativamente, perché il panorama da lassù ti fa dimenticare perché eri così stanco durante la salita.

La salita di 461 gradini al mausoleo

La salita al mausoleo Njegoš inizia con quello che sembra un innocuo parcheggio a Cetinje, l’antica capitale del Montenegro. Lì trovi un cartello che annuncia “Mausoleo – 461 gradini”, e se sei come me, pensi: “461 gradini? Ma che saranno mai, li faccio in dieci minuti”. È il tipo di ottimismo che dura esattamente fino al gradino numero cinquanta.

Il problema dei 461 gradini Lovćen non è solo il numero, ma il fatto che salgono dritti come una scala verso il cielo, senza curve, senza pause, senza quella gentile gradualità che ti aspetti da un sentiero di montagna civile. È come se qualcuno avesse deciso che arrivare al mausoleo dovesse essere un atto di fede pura, e che quindi ogni comodità fosse una forma di tradimento verso la memoria del poeta.

A metà salita, mentre mi fermavo per la quinta volta fingendo di ammirare il panorama ma in realtà cercando di far tornare il respiro a livelli umani, ho incontrato un signore di settant’anni che saliva con l’agilità di una capra di montagna. “Pierwszy raz?” mi ha chiesto in polacco, scambiandomi per turista dell’Est. Quando gli ho risposto in inglese, è passato immediatamente al perfetto inglese: “Ah, first time? È normale essere stanco, questi gradini li ha progettati Njegoš stesso per mettere alla prova i visitatori”.

Non so se fosse vero, ma l’idea che il poeta avesse personalmente progettato questa tortura cardiovascolare mi ha fatto sorridere abbastanza da dimenticare la fatica per gli ultimi cento gradini. La vista panoramica dal monte Lovćen che ti aspetta in cima vale ogni singolo gradino: hai tutto il Montenegro sotto di te, dalle Bocche di Cattaro all’Adriatico, fino alle montagne dell’interno che sembrano onde pietrificata.

Sentieri escursionistici e punti panoramici

I sentieri del Lovćen National Park sono una rete di percorsi che ti permettono di esplorare questo massiccio montuoso senza dover necessariamente affrontare la salita al mausoleo ogni volta. Cosa che, dopo la mia prima esperienza con i 461 gradini, ho apprezzato profondamente. Ci sono hiking trails per tutti i livelli, da passeggiate familiari lungo il plateau fino a escursioni impegnative che ti portano verso vette secondarie con panorami altrettanto spettacolari.

Il sentiero panoramico delle Bocche di Cattaro è probabilmente il più popolare, e capisci perché: in due ore di cammino relativamente facile attraversi ambienti diversi, dalla foresta di faggi ai pascoli d’alta quota, e arrivi a punti panoramici che ti fanno dimenticare l’esistenza dei social media. È il tipo di bellezza che ti fa mettere via il telefono e semplicemente guardare.

Una cosa che mi ha colpito dei Lovćen hiking trails è quanto siano ben tenuti nonostante la posizione remota. I sentieri sono segnalati chiaramente, i ponticelli sui ruscelli sono solidi, e ci sono panchine posizionate strategicamente nei punti dove hai più bisogno di una pausa. È evidente che questo parco è amato e curato dalla gente del posto, che lo considera non solo un’attrazione turistica ma parte della propria identità.

Il Jezerski Vrh ovviamente domina tutto, ma ci sono altri punti panoramici del Lovćen che meritano una deviazione. Lo Štirovnik offre una vista diversa, più selvaggia, verso l’interno del Montenegro. E c’è un piccolo belvedere senza nome lungo il sentiero per Cetinje dove puoi vedere il contrasto tra le montagne aride del Lovćen e la vegetazione mediterranea che scende verso la costa.

Buljarica Beach, una baia selvaggia e nascosta

Ora, devo confessarti che Buljarica Beach mi ha fatto sentire come quegli esploratori vittoriani che pensavano di aver scoperto una nuova specie di orchidea solo per scoprire che i locali la usavano da sempre per condire l’insalata. Questa spiaggia selvaggia a metà strada tra Petrovac e Čanj Beach è uno di quei segreti che tutti conoscono ma nessuno vuole rovinare parlandone troppo.

La parte settentrionale è dominata da stabilimenti balneari con musica a tutto volume e il tipo di atmosfera da discoteca che ti fa venire voglia di tornare immediatamente in camera d’albergo. Ma se hai la pazienza di camminare verso sud, verso la zona dei Buljarica Bay Apartments, scopri un mondo completamente diverso: una baia di sassi dove il rumore più forte è quello delle onde che si infrangono e dove puoi parcheggiare il van direttamente sulla spiaggia senza che nessuno ti chieda permessi o permessi.

È il tipo di posto dove ti ritrovi a leggere un libro intero senza accorgerti che il sole si è spostato di novanta gradi, e dove la sera puoi cenare pesce fresco in uno dei piccoli ristoranti familiari che sembrano materializzarsi dal nulla quando hai fame. L’unico problema è che una volta che l’hai scoperta, ogni altra spiaggia del Montenegro ti sembrerà leggermente sovrastimata.

Kraljičina Beach – la spiaggia della regina

Kraljičina Beach ha quel tipo di nome che ti fa sospettare immediatamente di essere di fronte a qualcosa di speciale, e per una volta le aspettative sono completamente giustificate. Questa spiaggia della regina – chiamata così perché la regina Marija di Yugoslavia veniva qui in vacanza negli anni Trenta, quando evidentemente anche i reali sapevano scegliere i posti giusti – è accessibile solo via mare da Čanj Beach, il che significa che devi prendere uno di quei piccoli traghetti che fanno la spola ogni trenta minuti e costano tre euro andata e ritorno.

È il tipo di barriera naturale che tiene lontani i turisti pigri e garantisce che chi arriva ha davvero voglia di essere lì. La spiaggia stessa è un semicerchio perfetto di sabbia dorata circondata da scogliere che sembrano progettate apposta per creare l’effetto “baia nascosta dei pirati”, e il mare ha quel colore azzurro intenso che ti fa sospettare che qualcuno abbia versato colorante nell’acqua.

Le strutture balneari sono discrete, i ristoranti servono pesce appena pescato, e se sei fortunato e arrivi presto, puoi conquistare la piccola caletta oltre il pinnacolo di roccia dove fare snorkeling tra pesci che sembrano dipinti a mano. L’unico svantaggio è che, essendo raggiungibile solo in barca, se perdi l’ultimo traghetto delle diciotto ti ritrovi a fare una conversazione molto interessante con i pescatori locali su alternative creative per tornare sulla terraferma.

Sveti Stefan – l’Isola luxury più famosa del Montenegro

Ci sono posti nel mondo che sembrano esistere principalmente per far sentire inadeguato il tuo conto in banca, e Sveti Stefan è decisamente uno di questi. La prima volta che l’ho vista – quella piccola isola collegata alla terraferma da una striscia di sabbia, con le sue case di pietra dal tetto rosso che sembrano cresciute direttamente dalla roccia – ho pensato: “Ecco, questo è il posto dove porterei qualcuno se volessi impressionarlo talmente tanto da farlo svenire”.

Sveti Stefan ha quella particolare qualità di certi luoghi esclusivi: ti fa sentire privilegiato solo a guardarla, anche se non puoi permetterti di mettere piede oltre il cancello. È come essere invitati a sbirciare attraverso la finestra di una festa molto costosa a cui non appartieni, ma dalla quale non riesci a distogliere lo sguardo. Il fatto che sia diventata un Aman Resort – una di quelle catene alberghiere che sembrano essere state inventate apposta per persone che considerano i prezzi un dettaglio volgare – non fa che aumentare il suo fascino proibito.

Ma c’è qualcosa di profondamente democratico nell’ammirare Sveti Stefan dal punto panoramico pubblico sulla strada costiera. Lì, insieme a pensionati tedeschi, backpackers australiani, e famiglie serbe in gita domenicale, puoi fotografare quello che è probabilmente uno dei panorami più iconici dell’Adriatico. È un po’ come essere tutti insieme fuori da un ristorante stellato a guardare attraverso la vetrina: non possiamo permettercelo, ma possiamo sicuramente apprezzarlo.

Storia dell’isola-hotel di lusso

La storia di Sveti Stefan è una di quelle vicende che solo nei Balcani potrebbero avere senso. Tutto inizia nel XV secolo, quando un gruppo di pescatori locali decide che vivere su un’isola rocciosa circondata dal mare sia una buona idea per difendersi dai pirati turchi. Costruiscono case, una chiesa, perfino delle mura difensive, e per alcuni secoli vivono là come una piccola repubblica marinara in miniatura.

Poi arriva il XX secolo, e il comunismo yugoslavo ha una di quelle idee che sembrano folli finché non le vedi realizzate. Tito – che evidentemente aveva gusti raffinati in fatto di location per le vacanze – decide che Sveti Stefan sarebbe perfetta come resort di lusso per la nomenclatura del partito e per quegli ospiti internazionali che bisognava impressionare senza sembrare troppo capitalisti. Nel 1960, l’isola viene trasformata in un albergo diffuso di lusso dove ogni casa storica diventa una suite.

Il dettaglio che mi ha sempre fatto sorridere è che una delle chiese dell’isola venne convertita in casinò. Solo nei Balcani socialisti qualcuno poteva pensare: “Sapete cosa manca a questa isola piena di storia e spiritualità? I tavoli da poker”. Ma funzionava: Sveti Stefan divenne il playground dell’élite yugoslava, un posto dove ministri, attori, e qualche capitalista occidentale opportunamente discreto potevano giocare a fare i ricchi in un socialismo dal volto umano.

La famiglia Karađorđević – l’ex famiglia reale serba – aveva la sua residenza estiva nella vicina Villa Miločer, che ora fa parte del complesso dell’Aman Resort. È uno di quei tocchi di ironia storica che rendono questa zona così affascinante: la villa dei re in esilio che diventa parte dello stesso resort dell’isola che fu trasformata dai comunisti. Solo nella riviera di Budva queste contraddizioni convivono così elegantemente.

Kotor, la città dei gatti

Sai quella sensazione quando entri in un posto e immediatamente capisci perché l’UNESCO si è scomodata a dargli un bollino? Kotor è esattamente così. Non appena varchi le mura veneziane di questa antica città perfettamente conservata, realizzi di essere entrato in qualcosa che somiglia più a un sogno medievale che a una città vera. È come se qualcuno avesse preso il centro storico più bello che potesse immaginare, l’avesse miniaturizzato, e poi l’avesse infilato tra le montagne più drammatiche d’Europa giusto per vedere l’effetto che fa.

Le Bocche di Cattaro – che i locali chiamano semplicemente “Boka” con l’affetto che riservi a un parente particolarmente fotogenico – circondano Kotor con una geometria che sembra troppo perfetta per essere naturale. È un fiordo che non dovrebbe esistere nel Mediterraneo, un’insenatura talmente spettacolare che ti viene voglia di scrivere cartoline anche se non le hai mai scritte in vita tua. “Cari tutti,” inizieresti, “mi trovo in un posto che sembra inventato da uno scenografo con un budget illimitato e zero senso della moderazione.”

La cosa buffa di Kotor è che ti aspetti di trovare folle di turisti che si scattano selfie davanti a ogni pietra antica, e invece – almeno quando non ci sono tre navi da crociera attraccate contemporaneamente – ha mantenuto un’atmosfera sorprendentemente autentica. È come se la città avesse trovato il modo di essere patrimonio dell’umanità senza perdere completamente l’anima. Un miracolo di equilibrio che meriterebbe un riconoscimento UNESCO tutto suo.

Scalata alle mura medievali

La scalata alle mura di Kotor è una di quelle esperienze che iniziano con un “ma sì, facciamo due passi” e finiscono con te che ti chiedi come mai nessuno ti aveva avvertito che avresti dovuto essere in forma olimpica per visitare una città medievale. Le mura medievali salgono lungo il pendio della montagna con una determinazione che fa pensare che i costruttori veneziani fossero tutti ex alpinisti con tendenze masochistiche.

Il percorso verso il Castello di San Giovanni – che i locali chiamano semplicemente “la fortezza” come se fosse l’unica al mondo – è tecnicamente una passeggiata. Nel senso che metti un piede davanti all’altro e eventualmente arrivi in cima. Ma è anche 1.350 gradini di pietra irregolare che salgono per 260 metri di dislivello sotto il sole dell’Adriatico, e dopo il primo quarto d’ora cominci a capire perché i pirati ottomani abbiano deciso che forse era meglio cercare bersagli più accessibili.

A metà salita, mentre mi fermavo per la sesta volta fingendo di ammirare il panorama delle Bocche di Cattaro ma in realtà cercando di convincere i polmoni che era tutto normale, ho incontrato una coppia di pensionati tedeschi che scendevano freschi come rose. “Wunderbar!” mi hanno detto sorridendo, e io ho annuito educatamente mentre pensavo che evidentemente i tedeschi hanno una definizione di “wunderbar” molto diversa dalla mia.

Ma poi arrivi in cima, e capisci tutto. La vista panoramica di Kotor che ti aspetta lassù è una di quelle cose che giustifica ogni singolo gradino sudato. Hai tutta la città vecchia sotto di te come un plastico perfetto, le Bocche di Cattaro che si estendono verso l’Adriatico con una precisione geometrica che toglie il fiato, e una sensazione di conquista che di solito riservi a imprese molto più eroiche. È il tipo di vista che ti fa promettere che tornerai sicuramente, magari quando sarai in forma migliore, o quando avranno inventato un ascensore.

Tour a piedi del centro storico

Il bello di fare un walking tour a Kotor è che la città è talmente piccola che anche se ti perdi completamente – cosa praticamente impossibile considerando che è racchiusa da mura e ha tre piazze principali – nel giro di dieci minuti ti ritrovi comunque dove volevi andare. È come essere in un labirinto progettato da qualcuno che aveva pietà dei turisti disorientati.

La Cattedrale di San Trifone domina la piazza principale con quella particolare eleganza romanica che ti fa pensare che i costruttori del XII secolo avessero un senso delle proporzioni che abbiamo completamente perso. All’interno ci sono affreschi che hanno sopravvissuto a terremoti, guerre, e secoli di turisti che hanno pensato che fosse una buona idea toccare tutto. È uno di quei posti dove realizzi che stai camminando sulle orme di pellegrini medievali, mercanti veneziani, e probabilmente di qualche pirata pentito.

La Chiesa ortodossa di San Luca, nascosta in una piazzetta che scopri solo se sbagli strada (cosa altamente consigliabile a Kotor), rappresenta quel perfetto equilibrio tra cattolici e ortodossi che caratterizza i Balcani quando le cose funzionano bene. È piccola, antica, e ha quell’atmosfera di spiritualità vissuta che trovi solo nei posti dove la gente va davvero a pregare, non solo a fare foto.

Il tour del centro storico Kotor che ho fatto era guidato da una signora locale che conosceva la storia di ogni pietra e aveva opinioni molto precise su tutto. “Qui,” mi ha detto indicando un palazzo, “viveva il mercante più ricco di Kotor. Era anche il più avaro. I suoi eredi hanno venduto tutto ai veneziani per comprare una villa a Dubrovnik. Tipico.” È il tipo di commento che non trovi nelle guide turistiche ma che ti fa capire come una città funziona davvero.

Tivat, la “Monaco” del Montenegro

Ci sono momenti, durante un viaggio, in cui ti fermi e pensi: “Ma davvero esiste un posto così?” Tivat è esattamente uno di questi momenti. Un minuto prima stai guidando lungo la costa delle Bocche di Cattaro, abituato ormai ai borghi di pescatori e alle città medievali, e il minuto dopo ti ritrovi davanti a quello che sembra essere il “principato di Monaco” che ha deciso di trasferirsi nei Balcani per una vacanza permanente.

Porto Montenegro appare all’improvviso come una sorta di miraggio chic capitalista in mezzo all’Adriatico. Yacht lunghi quanto autobus urbani, boutique che vendono orologi che costano più della mia auto, e ristoranti dove il menu non ha prezzi perché se devi chiedere, evidentemente non puoi permettertelo. È come se qualcuno avesse preso tutti gli stereotipi del lusso marino e li avesse messi insieme in un unico posto, giusto per vedere l’effetto che fa.

La cosa buffa è che Tivat fino a vent’anni fa era sostanzialmente un cantiere navale yugoslavo con aspirazioni modeste e una vocazione per la costruzione di navi militari. Poi qualcuno ha avuto l’idea brillante di trasformarlo nella luxury marina più esclusiva dell’Adriatico orientale, e il risultato è una città che sembra aver fatto un salto temporale di cinquant’anni in avanti in circa dieci anni. È evoluzione urbana in fast-forward, e il risultato è tanto impressionante quanto leggermente surreale.

Marina di lusso e shopping esclusivo

Camminare lungo Porto Montenegro è un’esperienza che oscilla tra l’ammirazione e la vertigine esistenziale. Da una parte hai yacht che sono praticamente appartamenti galleggianti, ognuno più grande e lucido del precedente, con equipaggi in uniforme bianca che puliscono superfici già perfette con la devozione di monaci zen. Dall’altra hai persone vestite come se stessero per andare a una premiere cinematografica, anche se sono solo le undici del mattino e stanno bevendo caffè.

La marina di lusso di Tivat ospita barche che hanno nomi come “Dream Catcher IV” e “Endless Summer”, segno che i proprietari o hanno un senso dell’ironia molto sviluppato o prendono molto sul serio il loro status di miliardari in vacanza. Ho passato una mezz’ora buona seduto su una panchina a guardare un yacht chiamato “Humble” che era lungo almeno quaranta metri e aveva più ponti di una piccola nave da crociera. L’ironia, evidentemente, non è morta.

Lo shopping esclusivo a Porto Montenegro è una cosa che ti fa riflettere sulla distribuzione della ricchezza mondiale. Ci sono negozi che vendono bikini a 300 euro, orologi da 50.000 euro, e scarpe che costano più del mio stipendio mensile. Ma la cosa interessante è che non sembrano essere negozi-trappola per turisti: la gente compra davvero queste cose. Ho visto una signora uscire da una boutique con un sacchetto pieno di qualcosa che aveva appena comprato, e il suo sorriso suggeriva che non si trattasse di un acquisto fatto dopo mesi di risparmi.

Il Regent Porto Montenegro e il centro commerciale annesso rappresentano il cuore pulsante di questa operazione di lusso. È tutto progettato con quel gusto internazionale anonimo che trovi nelle zone ricche di tutto il mondo: marmo, vetro, design minimale, e quella particolare atmosfera di silenzio costoso che ti fa sussurrare involontariamente anche quando non c’è motivo di farlo.

Trasferimenti aeroporto e noleggio yacht a Tivat

Una delle cose più pratiche di Tivat è che l’aeroporto si trova letteralmente a cinque minuti dal Porto Montenegro. È come se qualcuno avesse progettato tutto pensando: “Come possiamo rendere più semplice possibile per i ricchi arrivare qui senza doversi mescolare troppo con la gente normale?” I trasferimenti aeroporto Tivat includono opzioni che vanno dal taxi normale (15 euro) al transfer in limousine (cifre che preferisco non menzionare per non deprimermi).

La cosa buffa è che l’aeroporto di Tivat è ancora relativamente piccolo e gestibile, quindi non hai quella sensazione di smarrimento industriale che provi negli hub internazionali. È più come un aeroporto privato che ha deciso di aprire al pubblico per gentilezza. I voli arrivano principalmente da Londra, Mosca, e altre città con alte concentrazioni di persone che possono permettersi yacht privati.

Il noleggio yacht Tivat è un settore che ha scoperto come trasformare il sogno di sentirsi ricchi per un giorno in un business molto concreto. Puoi noleggiare qualsiasi cosa, dal motoscafo per un’escursione giornaliera (prezzi umani) allo yacht con equipaggio per una settimana (prezzi che richiedono una consulenza finanziaria seria). Ho parlato con un broker nautico che mi ha spiegato che molti dei loro clienti sono “nuovi ricchi” dell’Est Europa che vengono qui per sentirsi come gli oligarchi che vedono in TV. È turismo aspirazionale portato alle sue logiche estreme.

Perast, il borgo veneziano sul mare

Se Tivat rappresenta il futuro delle Bocche di Cattaro, Perast è il suo passato più elegante cristallizzato nel tempo. È una di quelle città che sembrano esistere principalmente per dimostrare che l’architettura barocca e l’Adriatico formano una combinazione perfetta, come il vino e il formaggio, o come Bill Murray e la commedia. Ogni palazzo sembra essere stato progettato da qualcuno che aveva letto tutti i manuali di bellezza architettonica e aveva deciso di applicarli tutti insieme, giusto per essere sicuro.

Camminare lungo il lungomare di Perast è come fare un viaggio nel XVIII secolo, quando questo piccolo borgo era una potenza navale che punch above its weight, come direbbero gli inglesi. Con solo una manciata di abitanti, Perasto riusciva a competere con Venezia nel commercio marittimo, producendo capitani di marina che navigavano in tutto il Mediterraneo e tornavano a casa per costruirsi palazzi che lasciassero il segno.

Il risultato è un borgo barocco talmente perfetto che sembra finto, come un set cinematografico progettato da qualcuno con un budget illimitato e zero interesse per il realismo storico. Ma è tutto vero, tutto autentico, e soprattutto tutto miracolosamente preservato, come se il tempo avesse deciso di fare una pausa proprio qui e non avesse mai ripreso a scorrere.

Le due isole iconiche da visitare

La cosa che rende Perast davvero speciale sono le sue due isole: Madonna dello Scalpello (Gospa od Škrpjela) e St. George Island (Sveti Đorđe). Sono come due gioielli galleggianti che qualcuno ha posizionato strategicamente per completare il panorama perfetto. La prima è artificiale – costruita dai pescatori locali gettando sassi in mare per secoli – e la seconda è naturale ma sembra così perfetta da far dubitare delle intenzioni della natura.

Our Lady of the Rocks ha una storia che è un mix perfetto di devozione religiosa e ingegneria navale testarda. La leggenda racconta che due pescatori trovarono un’icona della Madonna su uno scoglio e decisero che quello era il posto giusto per costruire una chiesa. Il problema era che lo scoglio era troppo piccolo. Soluzione? Convincere ogni barca che passava di lì a gettare un sasso in mare. Dopo un paio di secoli di contributi collettivi, ecco l’isola artificiale con la sua chiesa che sembra galleggiare sull’acqua.

Il Santuario della Madonna dello Scarpello – chiamato anche Nostra Signora delle Rocce – è uno di quei posti che ti fa riflettere sulla persistenza dell’ingegno umano. All’interno ci sono ex voto lasciati da marinai che sono sopravvissuti a tempeste, guerre, e probabilmente a qualche moglie particolarmente furiosa. Quadri naif che raccontano storie di naufragi evitati, placche d’argento con ringraziamenti per grazie ricevute, e un’atmosfera di spiritualità marinara che ti fa capire quanto il mare possa essere sia nemico che alleato.

St. George Island, dall’altra parte, è l’isola “naturale” con il suo monastero benedettino e il cimitero dove riposano i capitani di Perast. È più selvaggia, meno accessibile, e ha quell’aria di mistero che si addice a un posto dove monaci medievali hanno pregato per secoli guardando il mare e chiedendosi cosa ci fosse oltre l’orizzonte.